Con una scittura lucidissima, l’autrice, Laura Forti ci trasporta nel mondo interiore di Manuela, la voce narrante del romanzo “Una casa in fiamme”.
Attraverso di lei vediamo gli altri protagonisti, il marito Sergio , i due figli Lea e Elias , ognuno a modo suo problematico , ma anche il fantasma di sua madre e quello di un bambino mai nato, viviamo la tragica e misteriosa fine di Belle Epoque , il gattino di casa, precipitato da una finestra. E’ stato un incidente o è stato uno dei ragazzi a buttarlo di sotto e quale dei due?
C’è anche altro in questa famiglia: il tema dell’ebraismo nelle generazioni che non hanno vissuto sulla propria pelle la shoah e la conoscono dai racconti o dai non detti di quella precedente è fortemente presente e costituisce una parte importante del contesto della storia.
Manuela e Sergio cercano di costruire , loro che sono entrambi figli di un matrimonio misto , una famiglia ebraica moderna e felice , lui si fa forte contro il padre con una religiosità molto formale e lei si trincera dietro la definizione di essere un’ebrea culturale.
In questo universo, già da tempo problematico dove i nodi irrisolti sono nascosti sotto il tappeto , irrompe, come una deflagrazione,la notizia che Manuela ha un cancro.
Il romanzo si snoda nell’arco di un anno, da un estate a quella successiva. In questo periodo avvengono molte scoperte e molti aggiustamenti, che non sveleremo per non fare spoiler. La malattia è comunque il motore del cambiamento, l’occasione per affrontare la realtà per quello che è, un percorso intensamente psicoanalitico che fa arrivare Manuela , assieme a buone notizie sulla sua salute , ad un nuovo equilibrio.
Molti lettori si sono chiesti se il libro è autobiografico. Conosco personalmente l’autrice e posso garantire che è sposata, ma non con un ingegnere e ha una figlia e non due, ma chi può mai dire quale sia il confine fra la realtà dello scrittore e l’ invenzione della scrittura? Flaubert pare che abbia detto “Madame Bovary c’est moi “.
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