L’altro giorno, per scrivere un breve articolo su Don Ferrante, sono andata a ricercare nella mia libreria “I promessi sposi”. Sapevo di non avere più il testo su cui avevo studiato al liceo; sono passati circa 55 anni e molti traslochi: probabilmente, insieme ad altri testi scolastici, lo lasciai a casa dei miei, quando ai primi degli anni ’70, andai via di casa per fare la rivoluzione, come andava di moda. Più che Manzoni mi portai sicuramente dietro il Libretto rosso del Presidente Mao e i sette tomi del Capitale di Carl Marx. A mio discredito, devo dire che li ho ancora, anche se in uno scaffale in alto, non facilmente raggiungibili e un po’ nascosti, perchè una loro rilettura mi pare assai improbabile, anche in tempi di coronavirus e isolamento sociale ed è da tempo che ho preso le distanze dai miei trascorsi giovanili.
Ho ritrovato un edizione de “I promessi sposi” del 1993, per la cronaca con commento didattico a cura di V. Lazzerini, edizioni Il capitello, appartenuta forse a mio figlio David quando, con poco profitto, frequentava le scuole superiori.
Premetto che a me il romanzo piace. Purtroppo, non ho avuto al liceo un buon professore di italiano; il docente, tale B. C., ( non scrivo il nome per non parlare male dei morti) contestatissmo, raccontava storielle, faceva commenti salaci, adocchiava voglioso le studentesse ed era assolutamente incapace di insegnare qualcosa. Era lui stesso una barzelletta, ben lontano dalla professionalità di altri insegnanti, come la professoressa Tramontano di latino e greco, a cui devo una solida preparazione, il professor Faucci di filosofia, convinto assertore delle magnifiche sorti e progressive del pensiero umano o la professoressa di storia dell’arte, di cui purtroppo non ricordo il nome, che era cieca come una talpa e per questo oggetto di scherzi e burle da parte di noi studenti certi dell’impunità ( altrimenti non avremmo osato) ma che era capace di parlarti per ore del drappeggio del manto di una statua greca, anche se per lei tutto quello che era successo in campo artistico nell’800 e , Dio ne scansi, nel ‘900 era poco più che ciarpame.
Il professore di Italiano a forza di garbate proteste di genitori inorriditi fu convinto ad un precoce pensionamento. Ma il danno era ormai fatto: nella mia formazione c’è una vistosa lacuna circa la Divina Commedia che non ho mai recuperato, mentre, non so come mai, qualcosa de ” I promessi sposi” mi è restato in mente.
Certo non è un romanzo che qualcuno potrebbe scrivere oggi; è fastidiosamente infarcito di erudite escursioni storiche, il pretesto del ritrovamente del manoscritto è labile e le continue irruzioni dell’autore con le sue considerazioni ( è stato detto che la voce narrante è, a tutti gli effetti, uno dei protagonisti della vicenda) sono piuttosto tediose. Ma quando la voce narrante cessa di elargire la sua morale, ci sono personaggi ed episodi che restano impressi, Don Abbondio, Fra Cristoforo, la monaca di Monza e l’epigrafe alla sua storia “La sventurata rispose” che vale più di mille descrizioni, l’Innominato e mille altri e episodi indimenticabili come l’assalto al forno e la peste.
Piena di buona volontà ho ripreso in mano, come dicevo, il testo e sono rimasta inorridita dall’apparato didattico.
Ogni capitolo è seguito da una scheda. Prendo, per esemplificare, quella del capitolo 1. Escursus su la comuncicazione, trasmettere e rivere messaggi, enumerazione di varie funzioni emotiva, conativa (sic!) , referenziale, di contatto , metalinguistica e poetica. A seguire un brano di Achille Campanile tratto da “Sulle rive del Nilo”, il cui nesso con la storia narrata mi risulta incomprensibile. Ma non finisce qui: la scheda 2 indaga sul rapporto fra autore e lettore, raccontare e vedere, il sistema dei personaggi; altre trattano di stile e figure retoriche (paratassi ipotassi sineddoche, ecc che nemmeno io so cosa siano figuriamoci un ragazzo di 15 anni). Oltre le schede c’è una roba detta laboratorio: ad esempio al capitolo 2: quali sono le fantasie di Renzo segue spazio per la risposta, Che cosa si dice di Don Rodrigo , individuare le sequenze per fare il riassunto, ecc.
Sono tutte di questo tenore, non in una scheda o in un laboratorio viene semplicemnte messo in risalto qualcosa del testo. Come non sottolineare, per esempio, la potenza evocativa dell’incipit famoso ” Quel ramo del lago di Como” e come non vedere che il paesaggio, minuziosamente descritto, ad un tratto si anima della presenza di Don Abbondio e dei bravi: ” per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa Don Abbondio”.
Ecco se mai avessi dovuto insegnare, mi sarei limitata a sottolineare questi passaggi e al diavolo la paratassi.
Non oso pensare a che cosa stanno facendo adesso gli insegnanti con la didattica a distanza e le schede wia web. Se tanto mi dà tanto, c’è di che preoccuparsi della tenuta culturale di una sventurata generazione di studenti.
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