Potrei aggiungere molti aneddoti a quelli in cui Michele Serra descrive, con il consueto garbo ironico, il figlio adolescente, dai calzini sparsi ovunque , al puzzo di fumo, alle tracce biologiche in bagno, ai residui di cibo e ai piatti sporchi in cucina per finire con le risposte a grugniti e l’eterno essere connesso ad un computer o simili.
Ricordo ancora la volta in cui entrai in camera di mio figlio per rivolgergli l’ennesima, inutile esortazione ad uscire per prendere una boccata d’aria e vedersi con qualche amico, invece di starsene sempre da solo, chiuso in casa davanti ad uno schermo. Lui stava giocando ad uno dei suoi giochi di squadra favoriti sul computer, qualcosa tipo “alien vs predator” ( ma la citazione può essere imprecisa a causa della mia ignoranza in materia) in cui un gruppo di giocatori ne affronta un altro a colpi di armi micidiali su spettrali campi di battaglia. Per un caso fortuito quella volta mi aveva sentito ( di solito mi ignorava completamente) e mi disse, sinceramente stupito, ” Ma che dici? non sono solo!”. Dal suo punto di vista era in compagnia di tre o quattro amici, dislocati in varie parti del globo, che facevano squadra con lui e si stava divertendo. Rinchiusi la porta incerta se la sua affermazione ” non sono solo” fatta in una stanza fumoso e deserta fosse l’indizio di qualche allucinazione di tipo psichiatrico oppure un modo di vivere le cose che mi era completamente estraneo.
Mi sento quindi completamente solidale con l’autore : siamo della stessa generazione ( ci sono fra noi solo quattro anni di differenza) , siamo nati e cresciuti nel secondo dopoguerra e nel periodo del boom economico, siamo stati giovani nel 1968 e nei seguenti anni ’70. Mi fa piacere che anche lui si sia interrogato sul come e perchè i nostri figli siano venuti su, diciamolo onestamente, così male o, se vogliamo essere politicamente corretti, cosa che purtroppo ci capita spesso, così diversi da noi.
La categoria a cui l’autore ricorre per trovare una risposta è quella del relativismo etico. Per noi della nostra generazione non ci sono valori assoluti con la V maiuscola : siamo cresciuti confrontandoci aspramente con le certezze dei nostri genitori su cosa era bene e cosa male, come ci si deve comportare nella vita, nel lavoro, in famiglia, con l’altro sesso. E, a questo proposito, Serra allarga la riflessione con uno spunto interessante: “appartenevo ad un ‘epoca – l’ultima?- nella quale il conflitto fra Giovani e Vecchi avveniva sul medesimo campo di battaglia. Ora ho il sentore – il sospetto? il terrore? – di una mutazione così radicale che, difficilmente un giorno potremo riconoscerci, tu e io, nello stesso piacere.”
Abbiamo smontato i paradigmi di chi ci ha proceduto e poi ne abbiamo usato dei pezzi in qua e là per fare degli assembramenti che costruissero una nostra personale idea del mondo, valida per una sola persona, cioè noi e non per tutti. Poi ognuno è andato per la sua strada, morto per droga, disperso in India, militante di destra o di sinistra, uomo o donna in carriera o modesto lavoratore dipendente a secondo delle circostanze della vita.
Così in qualche modo le nostre richieste ai figli sono state “troppo poco”, per lo più riferite a quello che a noi sembra una minima decenza nella convivenza, tipo non dormire tutto il giorno, lasciare pulito e in ordine per rispetto degli altri, punto fondamentale perchè la libertà individuale per noi finisce dove comincia il diritto degli altri.
” Se mi presentassi con gli occhi spiritati ” si legge ad un certo punto del suo immaginario dialogo con il figlio” e ti dicessi che devi partire subito, stanotte stessa , per liberare, armi in pugno, un popolo oppresso o per evangelizzare i selvaggi o per ricacciare oltreconfine gli impuri ( per dire solo alcune delle tipiche Cause non più a disposizione di noi relativisti) allora sì che ti vedrei balzare dal divano, ……., preparare lo zaino e abbracciandomi mormorare chino al mio orecchio: finalmente, padre mio, invece delle meschine cazzate con le quali mi assilli da quando sono nato, mi indichi una Meta degna di questo nome!”.
Su questo punto penso che Serra abbia ragione, anche se sento che è solo un primo abbozzo non esaustivo di spiegazione.
Dato che ho trovato nella lettura alcuni spunti interessanti riesco a perdonare all’autore alcuni passaggi , secondo me, meno convincenti.
Ad esempio non trovo bene risolta la parte in cui parla di una guerra finale fra Giovani e Vecchi, anche se sto ancora sorridendo sul nome del protagonista: Brenno Alzheimer 🙂
Anche l’happy end finale è un po’ debole, un modo per chiuderla lì in qualche modo. Il padre è riuscito a trascinare il figlio o il figlio si è fatto trascinare in una passeggiata al Colle del Nasca, vagheggiata per tutto il libro. Non so se una volta superati dai figli nella salita possiamo diventare vecchi. Certo è consolatorio pensarlo.
bellissima recensione