Da quando è in pensione, Donata non sa come fare a passare le giornate.
Se non ha nulla in programma, palestra, parrucchiere, andare alla posta o in farmacia, si mette a pulire, a fondo, qualche stanza, tipo “Oggi, pulisco per bene il bagno” e vai con la “Vaporella” a lucidare tutto.
Non che ci sia molto da pulire, in realtà.
Donata vive sola, è una single, o meglio come si diceva quando lei era giovane, una zitella. Non ha mai trovato marito. Solo qualche delusione fra i venti e i trenta anni poi, passati i quaranta, nessun uomo l’ha più guardata.
Da giovane aveva un bel personale, poi con trentacinque anni di lavoro sedentario in un ufficio dell’Agenzia dell’entrate, si è appesantita, il giro vita le si è allargato, i seni si sono abbassati e le caviglie ingrossate.
E’ diventata un’anziana signora con i capelli grigi sempre in ordine, grazie alla piega settimanale a bigodini, fatta dalla sua parrucchiera di fiducia che sa fare quell’unico taglio e quella lavorazione e la propone indistintamente a tutte le sue attempate clienti.
Ha una fitta rete di amicizie, mantenute e coltivate nel corso degli anni, con telefonate periodiche di verifica.
“Ciao, come stai?”
“Come sta tua madre? “ “Come va con tuo figlio? E la scuola?”
“Come stai oggi? Passata l’influenza?”
Da queste relazioni scaturisce un invito a cena o a un cinema, a uno spettacolo o a un giro di shopping.
Ci sono giorni, però vuoti di proposte. Lunghi intervalli di niente.
Per ingannare il tempo, Donata è uscita; ha deciso di passare a trovare un amica, Maria, che lavora in un negozio di articoli per animali, “Animalmarket”.
Quando entra nel negozio, l’altra sta sistemando articoli appena arrivati sugli scaffali.
“Oh, ciao, che sorpresa!Come stai?”
“Bene, grazie. Avete un sacco da fare, vedo”
“Sì il lavoro non manca”
“Di questi tempi è una fortuna”
“Bene, bene. Senti, hai pensato a che film andare a vedere sabato?”
“No, non ho avuto tempo”
Entra una cliente e Maria va a servirla.
Donata gira un po’ fra gli scaffali, poi si ferma al banco d’uscita con la cassa e lo sguardo le cade sulla bacheca degli avvisi.
“Trovato gatto nero, tre anni circa, affettuoso, zona centro”
“Fido, bel bastardino abbandonato, cerca nuovo padrone”
“ Si regalano gattini sverminati, svezzati, bellissimi”
“Che bei cuccioli” commenta ad alta voce Donata.
“Ti piacciono? Carini vero?” Maria ha servito la cliente “Ah aspetta, hai visto l’annuncio del gatto nero? Guarda che bello! È un maschio di tre anni, un bel gatto nero con gli occhi gialli. E’ stata trovata nel parco dalla Gina e dalla Stella, quelle della colonia felina che lo hanno chiamato Nerone, per via del colore. Non lo vuole nessuno perché è già grande e poi è un po’ demoniaco. La gente ha dei pregiudizi sui gatti neri. Perché non lo prendi te?”
Maria la butta lì, senza convinzione. Donata non ha mai espresso l’interesse ad avere un gatto o un cane, anche se si capisce che le piacciono gli animali.
“Dove è ora?”
“E’ stato portato dal veterinario per un controllo. Le gattare non lo vorrebbero mettere nella colonia felina perché si vede che è un animale di casa e non si abituerebbe. E’ due mesi che è in gabbia, poverino. Vai a vederlo, dai, è un amore”
Senza una ragione particolare Donata si fa catturare dall’idea.
“Ma sì, vado ”
Maria, colta di sorpresa dal successo della proposta, le spiega come arrivare alla clinica e si affretta, con una telefonata, a preannunciare l’arrivo dell’amica.
L’anziana infermiera del veterinario la accoglie con un largo sorriso.
Nonostante sia tutto pulito, c’è un cattivo odore di pipì e di animali, acre e spiacevole.
“Nerone è di qua, glielo faccio vedere”
In una stanza, dietro la reception, tante gabbiette con tanti mici, miagolii disperati.
In uno stallo in alto, Nerone. All’avvicinarsi delle due donne, si stiracchia per quanto lo permette lo spazio a sua disposizione. Si avvicina alla rete e scruta Donata con i suoi occhi gialli.
“Prendimi” non è una supplica, è un ordine.
“Prendimi. Devo uscire, ho di meglio da fare che stare qui dentro chiuso in questa galera”
Donata è turbata dall’insistenza sfrontata di quello sguardo e resta imbambolata.
Scambia con l’infermiera qualche frase di circostanza. Fa una pausa e poi, occhi negli occhi del gatto, le escono due parole di bocca “Lo prendo”
Donata torna al negozio. L’amica la riempie di buoni consigli e di tutto l’occorrente: ciotole, cibo, trasportino, lettiera, pupazzetti a forma di topo, palline colorate e una torretta per farsi le unghie, grigia, con dei buchi da cui sbucano piume e campanellini.
Superato brillantemente il controllo pre-adottivo con le signore della colonia felina, il pomeriggio tardi, Donata preleva Nerone dal veterinario.
Durante il tragitto verso casa, il gatto, chiuso nel suo bel trasportino giallo, sul sedile posteriore dell’auto, miagola infuriato, soffia e cerca, girandosi e rigirandosi, di uscire.
“Si calmerà” pensa ancora fiduciosa Donata.
La prima serata e la prima notte sono un incubo.
Nerone è piazzato in cucina con le ciotole del cibo, secco e umido, e la lettiera. Secondo i consigli ricevuti, deve stare i primi giorni in una sola stanza per ambientarsi.
Uscito a razzo dalla gabbietta, si è messo a correre per la stanza come una furia, è saltato sul tavolo, da lì è balzato sulla credenza, ha pattinato sul runner di pizzo, facendo cadere tutto quello che c’è sopra, ninnoli e medicinali e, per finire, ha sganciato una bella pisciata sul tappeto davanti al lavello.
Donata ha cercato invano di calmarlo, è corsa con l’amuchina a pulire la pipì, il tappeto è finito in lavatrice.
“Calmati, bel micetto”
Il gatto soffia e s’inarca “ Dove sono? Me la pagherai! Questo non il posto dove volevo andare. Voglio la mia casa, il mio giardino, non questo lurido buco. Io sto in una bella villa liberty con una torretta e balconcini in ferro battuto, mica in una stamberga come questa. Cos’è, sei la serva? Questa è l’ala della servitù? Dove è il salone con il camino? E il lampadario con le mille luci?”.
Donata, nel tentativo di rabbonirlo, cede e apre la porta della cucina. Nerone sguscia via velocissimo, dilaga come un turbine nel resto della casa, salta sui mobili, fa cadere ogni oggetto che riesce a trovare sulle mensole, scale le tende come se fossero alberi, si arrota le unghie sul divano, inseguito da Donata che cerca di limitare i danni.
Seguono telefonate di consulto con le gattare, che elargiscono frasi rassicuranti.
“ E’ normale, all’inizio, poi si calma, Ci vuole pazienza. E’ spaventato, povero tesoro!”
Stremata Donata riesce a mangiare e poi va a letto. Nerone la segue in camera e si esibisce in una serie frenetica di balzi e attacchi. Lei riesce a spingerlo via, chiude la porta e si barrica dentro la camera. Furioso per l’esclusione, il gatto graffia la porta e miagola a tutto volume. Donata ha capito che, se vuole dormire, non deve cedere. Mette la testa sotto il cuscino e, faticosamente, si addormenta.
Il giorno dopo da una sembra che la casa sia stata visitata dai ladri. I petali della stella di Natale sono sparpagliati per terra. Nel vaso restano moncherini spogli; dappertutto orme di gatto miste a terriccio, una bella pisciata in mezzo al corridoio, cacchetta in un angolo, fili del tappeto tirati. Attratto dal rumore, Nerone esce da sotto il divano, dove era in agguato. Fulmineo parte all’attacco delle gambe di Donata che, per fortuna, mette, sotto la camicia da notte di flanella, pesanti calze di lana perché ha sempre i piedi ghiacci.
Lei riesce a scalciarlo via.
In una bella ciotolina blu, versa una scatoletta di Whiskas pranzetti, quelli pubblicizzati da un bel giovane e dal suo gattino delizioso.
Nerone si avvicina, dà un annusatina, non mangia.”Dove è il mio salmone, cazzo? Non lo sai, serva, che la mattina io mangio pesce. Salmone, hai capito, stupida, non straccetti di tacchino”
Inizia così, nel peggiore dei modi, la convivenza fra i due. La routine di Donata è un pallido ricordo: addio mattinate tranquille, pomeriggi oziosi e notti serene. E’ costretta a tenere conto della presenza ingombrante e ostile del gatto e deve sempre stare all’erta. Se si distrae, lui riesce a farla cadere per terra, passandole velocissimo fra le gambe e facendole perdere l’equilibrio. Mentre lei cerca di rialzarsi, lui, abitualmente, inscena saltelli di vittoria.
“Atterrata! Sono io il più forte! Così impari ”
Niente amorevoli fusa. Donata non osa più avvicinarsi. Ogni tentativo di armistizio è bloccato da soffiate, morsi, graffi.
“Ma che strano. Sembra che mi odi. Cosa gli avrò fatto?” Le amiche non riescono a spiegarsi il comportamento del gatto o a dare consigli utili. Una simile ostilità felina non ha riscontri, anche perché Nerone, quando c’è qualcuno in visita, si avvicina festoso, con la coda ritta, si strofina alle gambe degli ospiti, riceve, ronfando, grattatine.
“Vedi, ti faccio fare la figura della cretina” miagola, rivolto a Donata.
“Guarda come sono carino e amorevole, Le tue amiche penseranno che sei fuori di testa. Portami subito nella mia reggia, non voglio stare qui con te in questa catapecchia. Dov’è Sybil? Dove sono le ampolle, la sfera di cristallo, le stanze con gli specchi dorati e il camino? Sybil, dove sei? Vienimi a prendere. Sono stato rapito”.
Sybil si aggira infuriata per la stanza.
“Dove si sarà cacciato quel cretino?”
L’ha cercato per tutta la casa, nel salotto, sotto il divano, nella sala d’attesa per i clienti, dietro il parascintille del camino, nella cesta con la legna; ha spostato le tende di velluto della porta finestra che dà sul giardino, ha guardato in cucina, dentro gli sportelli, nella credenza, fra le scorte di cibo. Ha girato per le stanze degli ospiti al piano superiore, anche se non vengono mai usate, spostando i panni che coprono i mobili, ma nulla. Di Nerone, nelle sue abituali postazioni, nessuna traccia.
Sybil deve abbandonare le ricerche e mettersi al lavoro. Il primo cliente arriva alle nove.
Anche se non ne ha bisogno, perché ha ereditato dai genitori, morti in un incidente stradale, la villetta liberty in cui abita, al centro della città, e una discreta somma di denaro, Sybil ama tenersi occupata.
Ricevere le persone le permette di riempire il vuoto delle giornate e di mettere a frutto il talento che ha sempre avuto . Fin da bambina riusciva a leggere nella mente degli altri e questo dono le era servito a capire presto cosa volevano i genitori da lei: che stesse buona e che si arrangiasse. Sapeva anche spostare oggetti con la forza del pensiero. Per qualche numero speciale, tipo piegare un cucchiaino d’argento aveva, qualche volta, ricevuto distratti elogi dai genitori, costantemente dediti ad altro. Il padre, un nobile decaduto, aveva dedicato la vita allo studio della cabala e della numerologia. Sua madre, già l’acrobata in un circo, dopo sposata, passava il tempo fra sospiri e interminabili solitari.
La mattina della scomparsa del gatto, Sybil si aggiusta sui fianchi il tubino nero, si accerta di avere messo la spilla con la croce di Malta e la collana con gli amuleti. Accende le candele e l’incenso, dispone sul tavolo dello studio dove riceve varie mazzi di tarocchi, e inizia il primo consulto.
A fine giornata Sybil si è rassegnata. Nerone non è riapparso. Le sedute sono andate avanti lo stesso, ma lei ne ha avvertito la mancanza. Nerone sottolineava sempre, con miagolii appropriati, i vari giri di carte, buona fortuna o disgrazia, salute o malattia. La presenza di un gatto nero ha non poco contribuito ad aumentare la sua fama come cartomante.
Alcuni mesi dopo, Sybil è immersa nel consulto con la solita cliente trentenne con pene d’amore, lui sposato, lei distrutta.
Sono usciti il nove di spade, guai in vista, e il diavolo.
E’ evidente: fra i due c’è solo attrazione fisica: lui la vede solo per farsi una sveltina, lei, accecata dalla passione, crede che l’uomo sia l’amore della sua vita.
Sybil sta fissando la carta del diavolo, un caprone con ali di pipistrello che tiene, sotto i suoi artigli, in catene, un uomo e una donna, nudi, fra le fiamme, quando una voce le trapassa la testa.
“Sybil, dove sei?Vieni a liberarmi, sono prigioniero.”
Sybil sgrana gli occhi e resta per un attimo immobile con una carta in mano.
La cliente la fissa spaventata “Cosa c’è? Cosa ha visto?”
Sybil si riprende, continua a sentire la voce ma riesce a gestire la situazione. Consiglia alla donna di troncare la storia, di pensare a se stessa e al proprio benessere e la congeda frettolosamente.
Finalmente può concentrarsi sulla voce. E’lui, Nerone. E’ vivo. “Dove ti sei cacciato?”.
Sybil prende lo stradario della città, sgombra il tavolo dalle carte e dagli amuleti e lo stende accuratamente.
Mette sulla mappa il pendolino d’argento, che prende a oscillare, lanciando bagliori metallici; alla periferia della città, all’incrocio di due strade, vortica velocemente e poi si ferma. Sybil ricorda, di quel quartiere, solo grandi dignitosi condomini anni 70.
“Nerone, ti ho trovato, mi senti?”
Anche Nerone è concentratissimo, ha appena finito di graffiare Donata ed è in posizione d’attacco, pronto al balzo.
“Non lo, Sybil, non lo so. Qui c’è una grassona scema che non mi da il salmone la mattina. Sono prigioniero in un posto in alto”
“Nerone, se c’è un terrazzo, vacci e dimmi cosa vedi”
Nerone scappa sul balcone e si concentra sul panorama. Nella mente di Sybil si materializza una street view; dall’alto, vede il palazzo davanti a quello di Donata e, sotto, file di auto parcheggiate; più in là, lungo la strada, un minimarket, una cartoleria, un negozio di abbigliamento.
Trovato: il minimarket è in Via Toscanini. Il condominio dove c’è il gatto è di fronte, sull’altro lato della strada.
“Nerone, resta sul terrazzo, arrivo”.
“Nerone, vieni dentro, fa freddo” Donata vorrebbe chiudere la porta della terrazza ma non c’è nulla da fare. Il gatto è sordo a ogni richiamo, corre in su e in giù, graffia Donata che cerca di chiapparlo, si sporge in fuori mettendo la testa fra i ferri della ringhiera.
“Sybil, sono qua”
Donata rinuncia a farlo entrare in casa.
Una Chrysler nera parcheggia di traverso sulle strisce pedonali. Esce Sybil, indossa un piumino bianco lungo, su cui spiccano i suoi capelli neri sciolti e lunghi.
Guarda in su ed eccolo, Nerone, che si sporge dal terrazzo del terzo piano.
“Qui, sono qui Sybil, Dio che gioia!”
“Eccoti e ora?” Sybil s’interroga sul da farsi. Di sicuro chi ha preso Nerone non la farà entrare in casa e tanto meno vorrà sentire la storia di come i due si sono ritrovati.
Lei però non vuole perdere tempo. “ M’inventerò qualcosa” pensa.
Si avvicina al portone del palazzo, lo fissa intensamente e la serratura gira di scatto.
Un volo di scale. E’ al terzo piano. Anche la serratura dell’appartamento cede docilmente.
Nerone, a coda dritta, le corre incontro, festoso.
“Scappiamo Sybil, prima che quell’umana idiota esca dalla cucina”
Troppo tardi, Donata ha sentito dei rumori strani in ingresso e si è affacciata a guardare. Resta impietrita con un mestolo in mano, a guardare quell’estranea che la fissa con ostilità.
“Sei tu che hai rapito Nerone?”
“Ma che dici? Chi sei? Come sei entrata?”
Donata sente lo sguardo malevolo dell’altra addosso: avverte un bruciore, e sente il muscolo del cuore che si torce e si rigira nel petto, come se qualcuno lo strizzasse come un cencio bagnato. Un tremolio le trapassa il corpo, poi una fitta al braccio. Si porta le mani al viso e, con un rantolo, cade a terra.
Senza curarsi di lei, Sybil si volta ed esce velocemente, seguita da Nerone, che miagola festoso.
I due salgono sull’auto e si allontanano in fretta.
Alcune ore dopo, la vicina di pianerottolo, vede la porta dell’appartamento socchiusa. Preoccupata chiama il marito e, con cautela, guardano dentro.
Donata è stesa per terra, in corridoio, non dà segni di vita. Chiamano il 118 , il medico dell’ambulanza non può che constatare il decesso. Un colpo al cuore.
“Aveva un gatto” dice la vicina “Chissà dove è finito, povera bestiola”.
commento a quest’articolo mandato via mail da una lettrice
Ho letto il racconto tutta d’un fiato. E’ breve ma
intenso. E dalle tinte forti. Direi che è giallo e nero (un giallo
noir?) come i colori del gatto. Mi è piaciuto, brava!
Le due donne ci sono tutte e due, le vedi, le senti. E anche il gatto
c’è, eccome. Si sente anche il suo odore, a volte. E due solitudini,
una dorata e una nero-grigia. E due trame di relazioni, per Sybil solo
venal-narcisistiche, per Donata solidali e disinteressate. E due case e
due vite, di cui una finisce davanti ai nostri occhi.
Un racconto simmetrico, col suo punto di non ritorno, breve ma giusto,
perché hai detto tutto.